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Mi ha fatto amare il Jazz

Un uomo che stimavo moltissimo, appassionato come me di jazz, che ho ritrovato più volte nella mia vita, è stato Arrigo Polillo. Di jazz sapeva tutto. Organizzava concerti, a volte rimettendoci di tasca sua. L'avevo conosciuto nel dopoguerra con lo scrittore Giancarlo Testoni e con il giovane chitarrista Franco Cerri, che facevano parte del Jazz-Club di via Maddalena, a Milano. Ero poco più che un ragazzo. Un giorno Polillo mi incaricò di andare alla stazione Centrale ad accogliere Lionel Hampton, popolare vibrafonista statunitense che col suo gruppo veniva da Parigi per dei concerti a Milano. Io sbiancai, quasi svenni dall'emozione: Hampton, il mio idolo, in carne e ossa. Ero così intimidito dal compito che il giorno dopo mi venne la febbre e finii a letto. Al mio posto proposi Pino Maffei.

Qualche anno dopo, nel 1969, incontrai l'avvocato Polillo alla Mondadori, responsabile del personale. Dovevo essere assunto a Grazia o a Epoca. Lui, appena mi vide, ricordò: "Ah, ecco chi è lei: quello che si ammalò per Lionel Hampton". Sorrise: "Tra noi appassionati di jazz dobbiamo aiutarci". Mi ritoccò lo stipendio di quarantacinquemila lire. Siamo diventati amici, Gli davo sempre del lei. Lo chiamavo, come tutti, affettuosamente "avvocato".

Negli anni Ottanta lo incontrai in via Vitruvio, a Milano. Era sconsolato perché la Banca non gli faceva più credito per la sua rivista "Musica Jazz". Lo proposi subito al mio editore di allora, Edilio Rusconi, che lo ingaggiò immediatamente mettendo a sua disposizione un ufficio e una piccola redazione.
Prima di andarsene per sempre mi lasciò intuire altri talenti, forse poesie, forse chissà quante altre cose rimaste nel fondo di un cassetto. Peccato.

Un episodio che mi ha fatto sorridere

Una mattina vado a trovare lo scrittore e giornalista Nantas Salvalaggio. Mi apre la porta sua figlia. Le chiedo: "Disturbo? Capito in un momento sbagliato? Papà è impegnato?". Lei risponde seria: "Non sta facendo proprio niente: sta scrivendo". 

La fede di Celentano

Durante un'intervista ad Adriano Celentano gli chiesi se non si fosse mai meravigliato del suo successo. Nel senso che tutto sembrava facile per lui. Senza troppo faticare la sua attività artistica era sempre andata avanti senza scosse. Niente anticamere, niente sacrifici, era riuscito a raggiungere una posizione di grande privilegio. Lui mi guardò con quella sua aria da simpatico scimmione e mi raccontò questa storia: "La prima volta che lessi la Bibbia, trovai alcuni brani incomprensibili. Decisi allora di frequentare un corso di teologia presso i gesuiti. Con me c'erano fior di professionisti che mi facevano sentire una nullità. Su di loro però avevo un vantaggio. Eravamo tutti alla ricerca di Dio, ma loro in una crisi di sconforto, io in una fase della mia vita tra le più felici. Tutto mi andava a gonfie vele: famiglia, lavoro, salute. Una enorme fortuna. Non poteva essere tutto merito mio. Questo ho capito dalla Bibbia".

Un campione da ricordare

Molti anni fa ho avuto modo di incontrare in un caffé di via Tiraboschi un vecchio campione olimpionico di boxe, Giancarlo Orlandi. Grande stilista del ring, semisordomuto dalla nascita e un po' rintronato dai pugni ricevuti, si esprimeva a fatica, sempre in dialetto milanese. Ma si faceva capire bene. Voleva che il venerdì gli suggerissi i pronostici della schedina del calcio. "Ti, giurnalista intelligent" mi esortava, puntando un dito sulla fronte per lusingare la mia vanità. O forse perché, nella sua ingenuità, pensava che io la sapessi lunga. E io giù a dirgli: "Uno, uno, isc, due, uno...". La mattina del lunedì, quando mi vedeva, ripuntava il dito sulla fronte esclamando: "Ti giurnalista stupid", perché non avevo azzeccato un risultato favorevole.
Sono passati degli anni. L'ho incontrato, invecchiato, in un vicolo di piazza Libia. Mi ha riconosciuto subito. Si è avvicinato e mi ha detto, abbracciandomi: " Ti giurnalista stupid, ma con un cor grande come una casa".

Lucio Battisti, un burino di classe

Erano gli anni Settanta. Vado a trovare l'editore musicale Alberto Carish. Siamo alla vigilia di Sanremo. Scherziamo come sempre sulla maggiore manifestazione canora italiana. "Com'è difficile trovare un bel brano", osserva Carish tormentandosi i grandi baffi. "Mai che si presenti uno si mette al piano e suoni una canzone da lasciarti senza fiato. Questi incontri felici capitano solo nel film americani". Dopo un po' fa capolino un impiegato che dice: "C'è di là un tizio con un nome da martire risorgimentale. Dice d'avere del buon materiale per Sanremo. Lo faccio entrare?". No, vengo io di là", disse Carish. Si scusò con me e uscì. Quando rientrò in ufficio sembrava divertito. "Ho conosciuto un burino, fazzoletto rosso al collo, occhio sbirulo, parlata da ciociaro, che non se la cava male al piano. Intendiamoci, composizioni da buon dilettante. Ribadisco il concetto: certi incontri straordinari avvengono solo nei film di Frank Capra.
Qualche tempo dopo Carish scoprì che quel compositore dall'aria da paesano era Lucio Battisti.

Renzo un amico dal cuore grande

Renzo Cortina, che personaggio. Chi non ricorda la sua mitica libreria in piazza Cavour, un punto di incontro di intellettuali, artisti, politici? Mi manca molto. Renzo si divertiva a mettere insieme la gente. Sapeva coltivare l'amicizia, quella vera con le ali. In quattro e quattr'otto era capace di organizzare un premio letterario per ricordare un amico scomparso come, ad esempio, Dino Buzzati. Quanti personaggi importanti ho conosciuto nella sua leggendaria cucina, in via Fatebenefratelli, ad assaporare senza cerimonie salame nostrano, pasta e fagioli. Era un magnifico librario, un mix di furbizia, talento e ingenuità. Se qualcuno non gli piaceva, faceva il finto tonto, diventava antipatico, ma poi usciva sempre fuori la sua generosità. Quanta gente ha aiutato, ha portato al successo. Era pronto a offrirsi alle più disinibite confidenze. Una sera andò a trovarlo il famoso cardiochirurgo Christian Barnard. Si sono fatti da mangiare da soli, come due vecchi amici scapoli. A un tratto Barnard gli disse: "Renzo, tu hai un grande cuore. A te non potrei cambiarlo, a te va bene quello che hai". Renzo al complimento sorrise e rispose: "Sai che cosa mi farebbe piacere? Avere anche il tuo, di cuore. Con due cuori così grandi cosa non farei."

Ho brindato con Kennedy

John Kennedy arrivò in Italia dalla Svizzera il 1° luglio 1963. Atterrò in elicottero a Bellagio, sul lago di Como. Era ospite, col suo seguito composto da una decina di americani, al Grand Hotel. Di lì a poche ore doveva ripartire per Ravello sulla Costa Amalfitana, dove era atteso da orfani figli di soldati italiani che avevano combattuto con gli americani. Il proprietario dell'albergo che mi aveva invitato mi esortò a non farmi riconoscere come giornalista. Intimidito mi tenni un po' in disparte. A un certo punto Kennedy mi si avvicinò, mi sorrise, mi porse un bicchiere di champagne e mi disse: "Grazie per il servizio d'ordine".

Ho inventato un ballerino classico

Ricordate la canzone che faceva "Se sei bello ti tirano le pietre, se sei brutto ti tirano le pietre"? Fu il primo successo italiano di Antoine, per l'anagrafe Antonio Muraccioli. In seguito il cantante italo-francese incise "La sbornia" (lanciata dai Gufi), ma non ebbe altrettanta fortuna. "Perché il testo era volgare", sentenziò lui severo e decise di non incidere più canzoni in Italia. La Casa Ricordi aveva un brano, "Taxì", da presentare al Festival di Sanremo che giudicava adatto a lui. Bisognava però convincerlo. Salvini, patron della Ricordi, pensò a me che ero suo amico. Partii per Parigi. Quando gli proposi la canzone, Antoine alzò le braccia al cielo: "Cadiamo dalla padella alla brace. Adesso vuoi farmi fare il tassinaro. Non ci sto". Non mi persi d'animo. Lo invitai a cena, poi gli proposi di andare nel quartiere latino per vedere qualche vecchio film di Fred Astaire, che lui amava tanto. Davano "Roberta". Fred volteggiava sullo schermo con Ginger Rogers vestita da ballerina classica. Sussurrai ad Antoine: "Anche tu potresti metterti in frac, scegliere una ballerina dell'Opera, danzare con lei e interpretare "Taxi". Antoine scoppiò a ridere. Sembrava impazzito. "Ma lo sai che è una buona idea!". L'avevo convinto. La sera del 4 febbraio 1972 si presentò così sul palcoscenico di Sanremo e fu un successo.

Pavarotti arguto umorista

Mi trovo all'Hotel Brun di Milano. Scorgo al ristorante Luciano Pavarotti, Mi piacerebbe intervistarlo, ma non lo conosco personalmente. Un mio collega, Giuseppe Barigazzi, è tra i presenti al pranzo. Gli chiedo se cortesemente può farmi da tramite, lui così di casa tra la gente di teatro. Lo seguo. Barigazzi, dopo qualche battuta col tenore modenese, piuttosto impegnato con un succulento piatto di fagiano ripieno, mi presenta. Per invogliarlo ad ascoltarmi, in un momento di distaccato interesse per il suo lavoro, gli dice: "Il mio collega Nino Romano teme di importunarti, ma desidererebbe intervistarti. Ne hai voglia?". E aggiunse teneramente: "E' come un fratello per me". Pavarotti alzò la testa dal piatto, guardò Barigazzi, poi me, e disse: " Fratelli? Sì, ma di carta".

Il segreto di Maradona

Diego Maradona sarebbe piaciuto a Giuseppe Marotta, perché sembrava uscito dalle pagine del suo "Oro di Napoli". Più che un argentino ricorda uno scugnizzo di Forcella. Fa miracoli con il pallone, tanto è vero che lo hanno soprannominato "Maradona di Pompei". Appena lo conosco, lo stuzzico: "Io credo di sapere quale sia il tuo segreto di calciatore". Incuriosito, lui mi risponde: " Ne ho sentite tante. Avanti". "Tu fai gol con gli occhi". "Con gli occhi? Questa è bella. Non me lo ha mai detto nessuno". Insisto: "Se fossi un portiere non seguirei i tuoi piedi, ma il tuo sguardo furbo".

Un poeta dell'animazione

Pierluigi De Mas, sono tanti i ricordi di lui che mi affiorano in un fiume di malinconia. Regista, produttore, disegnatore super premiato, un punto fermo del cinema d'animazione. Era artista anche nella preparazione di pranzi e cenette appetitosi. Mi ricordo un episodio divertente. Quando lo andai a trovare nella sua bella casa sul Lago di Como, giunto un po' stanco per il viaggio da Milano, la dolce moglie Elisabetta mi fece riposare nella loro camera da letto. Quando mi svegliai non trovai nessuno in casa. Erano usciti con le amiche giapponesi che lavoravano con lui. In loro attesa, malauguratamente, senza minimamente accorgermene, mi sedetti su un vassoio di vitello tonnato che Gigi aveva preparato con cura e deposto su una poltroncina in attesa di essere guarnito per la cena. Fu un disastro. Io affondai e schizzai creme e sughi dappertutto. Al suo rientro Gigi si arrabbiò, ma poi mi perdonò, mi sorrise sornione e mi regalò un paio di jeans perché potessi ritornare a casa.
Con lui avevo una cosa in comune: la scaramanzia.

Non dicevamo mai quando partivamo per una vacanza. Per non sentirci dire la fatidica frase: "Come ti invidio. Beato te che vai via".
Forse per questo non abbiamo mai fatto un viaggio insieme. Peccato.

A scopa dal calzolaio

Quando negli anni Settanta lavoravo alla Mondadori di via Bianca di Savoia, avevo l'abitudine di ritrovarmi nell'intervallo di mezzogiorno con due amici colleghi di Panorama, il capo redattore Gigi Rosa e il poeta bolognese Raffaello Baldini. Rinunciavamo al pranzo tradizionale per infilarci nella bottega di un amico calzolaio che stava in una strada adiacente, la via San Martino. Qui abbassavamo la saracinesca, ci sedevamo a un tavolo da lavoro e giocavamo a scopa. Ci accontentavamo di un panino. Ma come eravamo felici.

Non mi ha mai perso di vista

Osvaldo Micciché mi ha sempre seguito con grande amicizia nella vita privata e professionale. Musicista, compositore, è stato assistente alla PDU, Casa discografica di Mina, per diversi anni. Con lui ho collaborato alla realizzazione del libro su Lucio Battisti, "Mi ritorno in mente". Mi è sempre rimasto accanto nel mettere insieme i miei ricordi di scrittore e di autore di testi di canzoni.

Un direttore coi "pennelli"

Nell'immediato dopoguerra a Milano era un fiorire di negozi eleganti. In una delle vie più rinomate del centro, via della Spiga, un giovane collaboratore del Corriere della Sera vide esposto in una vetrina un grande dipinto con una bellissima dama elegantemente vestita con abiti d'altri tempi.
Attratto, entrò e chiese chi fosse l'autore di quel ritratto. Gli fu risposto: "Un importante giornalista, Guglielmo Emanuel, direttore del Corriere della Sera". Il giovane trasalì e il giorno seguente fece pubblicare sul Corriere: "Opera dipinta da Guglielmo Emanuel che nei ritagli di tempo dirige il Corriere della Sera".
Nel raccontarmi questa storia Dino Buzzati, capo-redattore della Domenica del Corriere, precisò che il direttore, quando lesse la notizia, non solo si fece una sonora risata ma assunse il giovane come giornalista professionista critico d'arte.

Un grande della fotografia

Con Mario Dondero ci innamoravamo sempre della stessa ragazza.
Siamo diventati amici al punto che abbiamo organizzato una lunga vacanza a Camogli. Avevamo appena 18 anni. Un giorno Mario mi presenta una ragazza, Annamaria, e mi dice: " Questa sarà tua moglie". E così fu. Durante la nostra estate al mare ne abbiamo fatte di tutti i colori. Quando Mario ballava indossava le mie scarpe perché le sue, da tennis, avevano un buco nell'alluce. 
A Milano abbiamo cominciato a fare i giornalisti. Scrivevamo di calcio per alcuni quotidiani di provincia, lavoro che non ci hanno mai pagato. 
Poi Mario ha spiccato il volo. Con la sua macchina fotografica ha immortalato personaggi importanti. Oggi è considerato uno dei più grandi fotografi del mondo.

I palloncini di Bruno

Bruno De Filippi, il re dell'armonica a bocca, presente a livello mondiale in tantissimi brani musicali che amo ascoltare, quando ritornava dalle sue tournées veniva a cena da noi. Desiderava sempre una minestrina che facevamo solo per lui. Ha suonato alla festa dei miei 80 anni. Purtroppo non ho potuto festeggiare i suoi 80 anni, perché è mancato poco tempo prima. Per ricordarlo, sua figlia, Franca, in quell'occasione, mandò in cielo una volata di variopinti palloncini con scritto : "buon compleanno Bruno".

Con lui ho vissuto momenti musicali indimenticabili

Qualche anno fa mi telefonò un ragazzo siciliano di 23 anni, Gaspare Barresi, per chiedermi se l'aiutavo a diventare un cantante. Siccome non aveva un repertorio, gli affidai belle canzoni della sweet melody americana. Quante belle ore abbiamo trascorso insieme. Ho fatto del mio meglio. Finché un giorno... 

Grazie Domenico

Domenico Passera è un cuoco di razza che nella sua trattoria all'Antica, a Milano, ha accontentato i palati di personaggi illustri. Ad ogni mia festa partecipava con piatti prelibati, unici. Ricordo un commovente episodio. Mentre con parenti e amici eravamo riuniti per la morte di mia madre, ultra novantenne, si è presentato a casa mia con sua moglie Maria. Portava il meglio della sua cucina per darci qualche momento di sollievo alla nostra malinconia. 
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